ESPERIENZE

In questa sezione vengono proposti temi, riflessioni e approfondimenti incentrati sull’applicazione del progetto pedagogico di Essequadro e sulle esperienze derivatene offerte agli utenti.

UNA SCUOLA CHE CORRE E’ NEMICA DELL’APPRENDIMENTO

lo affermano le neuroscienze…e non solo

Chi, come noi, si occupa di educazione lo afferma spesso: è importante che i bambini e le bambine possano godere di un tempo lento che contempli anche la noia. Sebbene tendenzialmente oramai sia noto il valore della noia, non è così semplice legittimarla e darle spazio. Ma allora è proprio vero che riconosciamo fino in fondo quanta ricchezza si coltiva nell’attraversarla? Che cosa ci spinge a fare continuamente proposte e ad “ingolfare” bambini e bambine? Siamo noi stessi capaci di viverci momenti di noia senza sentirci sopraffatti dai sensi di colpa, senza pensare che sia solo una grossa perdita di tempo?

‘’ Il tempo è il piu’ grande nemico dell’apprendimento’’ ama dire Jesus Guillen astrofisico, neuro educatore dell’Università Autonoma di Barcellona . Il nostro cervello , per sprigionare al massimo il suo incredibile potenziale ha bisogno di un tempo lento e flessibile . La gestione del tempo è uno degli aspetti fondamentali che disegnano il come stimoliamo benessere e apprendimento. Ognuno di noi ha un cervello unico ed irripetibile, disegnato dal nostro patrimonio genetico e dalle relazioni con l’ambiente esterno e ognuno ha un proprio ritmo di apprendimento. C’è chi si lancia nelle esperienze e riesce a coglierne velocemente il senso, magari tralasciando dei dettagli e c’è chi , prima di immergersi in esse, le studia da ogni angolatura e una volta entratoci non ne esce sino a che ogni aspetto dell’esperienza viene analizzato e compreso, ovviamente dedicandoci un tempo maggiore. Questi mi paiono in estrema sintesi i due estremi, nel mezzo c’è lo stile e il tempo di ciascuno di noi.. Il non riuscire a stare nei tempi veloci calati dall’alto non gli permette di vivere le esperienze con pienezza. Nel tempo lento invece queste persone si sentirebbero a proprio agio , nutrirebbero in modo sano la propria autostima e sicuramente avrebbero un rendimento migliore. Il tempo lento è una grossa opportunità anche per chi ha un ritmo di apprendimento piu’ veloce . Le neuroscienze ci stanno dicendo che il cervello ha bisogno di stare dentro un’esperienza e ritornarci per fissare l’apprendimento. Il tempo flessibile si riferisce invece all’opportunità di far vivere ai ragazzi tutto il tempo che necessitano per esplorare appieno un’esperienza di apprendimento. Nemico del tempo flessibile è la rigidità temporale con cui viene strutturata la giornata già dalla.

 

Il tempo dei bambini

Quando un bambino si mette in disparte, o dimostra di non voler partecipare alle diverse attività, ci si preoccupa. Allora lo si stimola, lo si sollecita a partecipare, a comunicare con gli altri, a “fare”: sembra che stare nella calma, permettersi una sosta, siano un lusso, un comportamento inutile, se non dannoso. Il tempo libero dei bambini è stato riempito, ma un tempo riempito non è sinonimo di un tempo vissuto pienamente, anzi. Più il tempo viene imbottito di appuntamenti e più si rischia di viverlo in modo superficiale, di corsa, senza godere le cose in profondità. Senza soffermarvisi, senza ricordare, aspettare, rielaborare, per poi poter ripartire verso l’impegno successivo. Dove sono andati a finire il tempo della solitudine, nel quale era possibile lasciare libero corso alle proprie fantasie, il tempo per nascondersi, i momenti di isolamento per ascoltare il proprio mondo interiore? Winnicott ci ricorda l’importanza degli spazi della solitudine “E’ proprio l’inattività il sottrarsi alle occupazioni esterne che favorisce l’emergere di quelle fantasticherie spesso scoraggiate, perché considerate fuori della realtà, ma estremamente utili per brevi incursioni in mondi irrazionali.” Una volta, il tempo “vuoto”, ampio, disteso, generoso, a volte noioso, era una delle caratteristiche dell’infanzia. Erano tempi lunghi e “vuoti”, cioè non organizzati se non da se stessi. C’era confidenza con il “vuoto”, che in realtà era “pieno”, ricco delle proprie capacità di giocare con niente, anche di momenti “morti” di soste, di noia, dai quali poteva scaturire qualche nuovo progetto.

Nel libro “La pedagogia della lumaca”, G. Zavalloni propone la visione di un tempo educativo rispettoso della tranquillità, della lentezza e della pazienza, strumenti necessari per uno sviluppo formativo naturale e permanente. La prima strategia è quella di saper perdere tempo per parlare con i bambini, per valorizzare il tempo della scoperta, della conoscenza dei vissuti personali, della costruzione di buone regole del vivere insieme, per dare spazio ed insegnare l’ascolto autentico, per verificare la capacità di sorprenderci e stupirci, per recuperare il tempo disteso, cambiare le strategie metodologico – didattiche, garantire un apprendimento reale. Altre strategie indispensabili per rallentare il ritmo frenetico che ci sta incalzando tutti, saranno fondate dal recupero del piacere. Piacere di sostare, passeggiare, andare a piedi, scoprire particolari mai visti, assaporare le piccole cose, imparare a farle uscire dallo sfondo, riscoprire gli odori, dare rilievo alle sensazioni, valorizzare le emozioni… “ Va preso più tempo per le situazioni informali, tempo per cogliere gli spunti occasionali e per parlarne insieme. Tempo per esplorare le pozzanghere e per osservare le formiche che vanno e vengono in fila. Tempo per ragionarci sopra insieme: perché l’acqua sparisce dalle pozze? Come fanno le formiche a riconoscere la strada? E quando vanno sotto terra che cosa fanno? Va previsto il tempo per guardare fuori dalle finestre per osservare insieme il mondo attorno a noi. ”

Il valore pedagogico del perdere tempo

Nel lavoro d’insegnante si  impara a conoscere i miei bambini quando si comincia a perdere tempo con loro, ad osservarli per comprenderli, ad ascoltarli per entrare nel mondo dei loro ragionamenti e delle loro ipotesi fantastiche. In questo modo la scuola potrà trasformarsi in un luogo dove ci sia spazio per perdere tempo, spazio dove sia possibile esprimere la propria originalità e la propria singolarità, generare nuovi pensieri e nuove parole, dove sia possibile trovare zone di solitudine per ascoltare il proprio mondo interiore, dove più che l’efficienza e la produttività venga accettata e riconosciuta il tempo della persona… Partendo dall’ascolto, l’insegnante è in grado di cogliere le capacità di ogni bambino nella sua originalità e di proporgli quelle piccole sfide che lo aiutano a crescere, a fare un salto in avanti che non sia però, per lui, troppo, ma quel tanto in grado di far evolvere le sue abilità. Si tratta di elaborare un progetto educativo aperto all’imprevisto, a suggerimenti, sollecitazioni, bisogni espressi dai bambini, che proprio in base a questi, sappia modificarsi, prendere direzioni diverse da quelle previste. La mancanza riguarda invece l’assenza “di tempi distesi, silenziosi e vuoti in cui i bambini possono “perdersi” in qualche loro attività, per conto proprio. È importante che loro “abbiano la possibilità di imparare a esplorare, scoprire, organizzare qualche tipo di attività anche da soli, senza lo sguardo di un adulto diretto su di loro, senza compagni con cui condividere i giochi o competere, seguendo i propri ritmi e i propri tempi, concentrandosi, fantasticando e distraendosi, divertendosi e, perché no, annoiandosi “.

 

CONTESTI AUTOORGANIZZATI

Cosa significa contesti auto-organizzati? Cosa vuol dire che i bambini sono lasciati liberi e si spostano in modo autonomo all’interno del servizio? I bambini non vengono controllati?

Il contesto scuola è il luogo in cui avvengono i rapporti educativi, il contesto carico di significati affettivi, di connotazioni educative e formative, lo spazio degli affetti, dove ciò che conta è come ci si sente al suo interno, dove si sviluppano vissuti, memorie, affetti, attraverso i quali il bambino sperimenta e costruisce la sua identità. Nello spazio si cresce e si educa. Dunque i criteri con i quali vengono suddivisi i contesti, sistemati gli arredi, collocati i giochi e i materiali, raccontano l’identità di una scuola, parlano dello stile educativo di insegnanti educatori. Ad esempio una disposizione dei materiali che non consenta ai bambini di utilizzarli in modo libero, non potrà facilitare l’organizzazione spontanea ed autonoma di giochi e attività. Allo stesso modo, una strutturazione degli arredi poco flessibile, che non permetta di modificarne la disposizione per una certa attività o per lavorare in piccoli gruppi, tenderà ad offrire ai bambini contesti di apprendimento limitati e ripetitivi. Gli spazi della scuola vanno dunque diversificati, per consentire diverse opportunità: stare in tanti o stare da soli, esplorare, sviluppare l’autonomia, fermarsi in “zone”morbide di intimità o di relazioni… Sembra che nell’ attività quotidiana si sia più preoccupati dell’insegnamento e non di come avviene l’apprendimento, delle condizioni nelle quali esso si svolge e si sviluppa. Ci sono aspetti della scuola in genere sottovalutati e ai quali non si attribuisce valore formativo, quasi che essi non incidano sull’educazione dei bambini. Come si sistemano gli arredi, come si dispongono e come si presentano materiali, come i bambini vi possano accedere… E ci si sofferma sugli aspetti disciplinari, quasi che l’apprendimento possa avvenire solo attraverso la trasmissione di nozioni, contenuti. Eppure il disordine con i quali in certe scuole si dispongono gli spazi, comunicano uno stile educativo. O la distrazione con la quale ci si rivolge ai bambini, la fretta con la quale si danno indicazioni, rivelano le idee e le scelte pedagogiche di alcuni insegnanti. I bambini apprendono sempre. Non ci sono momenti “alti” della formazione e momenti meno importanti sul piano educativo. Porre attenzione ai modi nei quali l’ambiente, le relazioni incidono sugli apprendimenti, può significare oggi rimettere al centro della riflessione pedagogica la qualità dell’apprendimento.

I bambini si appropriano veramente della scuola in cui sono incoraggiati a muoversi con autonomia, a giocare, esplorare e fare ipotesi, ad essere responsabili dei materiali e dei giochi, a orientarsi nei tempi e a relazionarsi con bambini e adulti. Si educa alla competenza della cittadinanza perché tutto è di tutti e ciascuno ne ha cura come se fosse proprio. Questo vale sia per il gruppo degli adulti che per quello dei bambini. Ci sono tante insegnanti e se una viene a mancare momentaneamente, questo non scatena crisi o disorientamento. Ogni bambino ha su di sé lo sguardo attento di più di un insegnante e questo arricchisce la capacità del gruppo docente di rispondere ai bisogni del singolo oltre che a quelli del gruppo, migliora la gestione dei bambini con situazioni difficili perché il carico si suddivide su più persone. Permette di realizzare gruppi con diverse dimensioni e finalità in rapporto a bisogni diversi dei bambini o a situazioni nei momenti diversi dell’anno, inoltre permette ai bambini di crescere dal punto di vista dell’autonomia perché consente di vivere lo spazio alcune volte in piccolo gruppo senza la presenza dell’adulto. La scelta degli spazi da parte del bambino favorisce la costruzione di consapevolezza, (la capacità di scelte autonome) e sostiene la maturazione dei tempi di concentrazione nel gioco. La presenza dell’adulto è mirata a sostenere il gioco, a entrare in relazione e a garantire le condizioni che permettano il suo esplicarsi al meglio. Gli atelier rispondono meglio alle esigenze dei bambini, offrendo maggiore qualità di gioco, c’è attenzione a inserire/togliere materiali su richiesta in base agli interessi che prendono forma per farli evolvere. La libertà data non deve essere confusa con l’assenza di regole e la progettualità che nasce dal bambino è ben distante dallo spontaneismo.

 

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